La storia della lavorazione della pelle a Firenze
La storia della lavorazione del cuoio in Toscana risale almeno all’epoca degli Etruschi che già lo usavano per la produzione di sandali e stivaletti, ma anche di scudi, elmi e corazze.
L’utilizzo del cuoio era molto ampio poiché le tecniche di lavorazione conosciute all’epoca permettevano di produrre sia il cuoio duro (che si usava per le armi e le armature) sia quello più fine e costoso.
Il desiderio di migliorare la qualità, l’elasticità e la morbidezza del cuoio, così come il poter ottenerne diverse colorazioni, spingeva gli artigiani ad elaborare nuovi procedimenti e prodotti chimici, cercando di soddisfare la sempre crescente richiesta da parte dei cittadini.
Erano molti i mestieri legati alla produzione del cuoio: i cuoiai, i pelacani (i conciatori), i pezzai (i venditori di cuoio) e gli orpellai (i doratori di cuoio e pelle). Per proteggere gli interessi di tutti i lavoratori e i venditori, nel 1282 nasce a Firenze l’Arte dei Cuoiai e Galigai.
Questa nuova corporazione era certamente meno potente rispetto all’Arte del Cambio o all’Arte della Lana ma raggruppava un gran numero di lavoratori.
Come tutte le Arti, anche questa aveva il proprio scudo (diviso in due, metà argentato e metà nero), il proprio santo (Sant’Agostino) e soprattutto dava il lavoro a molte famiglie fiorentine.
Inizialmente quasi tutte le botteghe si trovavano vicino al Ponte Vecchio ma con il tempo furono spostate verso la zona di Santa Croce, dove tutt’oggi possiamo trovarne qualche traccia nella toponomastica come ad esempio la via delle Conce e quella dei Conciatori.
Proprio qui si trovavano gli stabilimenti dove si conciavano le pelli, cioè, il procedimento che le rendeva impermeabili, imputrescibili e resistenti grazie all’utilizzo di sostanze come l’allume, il sale, l’olio di pesce.
La vicinanza del fiume Arno era indispensabile sia per la produzione del cuoio sia per il trasporto dei materiali ed eventuale commercio, nonostante il quartiere soffrisse spesso delle piene del fiume (basti pensare all’alluvione del 1966 quando Santa Croce ebbe innumerevoli danni).
Non sarà molto difficile immaginare come era il quartiere di Santa Croce all’epoca: piccoli e stretti vicoli con rumorose botteghe che emettevano odori nauseabondi e un groviglio di poveri lavoratori i quali, dopo una dura giornata passata tra le maleodoranti vasche per la concia, con le mani marroni come il cuoio stesso, andavano ad ascoltare la predica dei frati francescani.
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Alberto Cozzi Firenze
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